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PROFILI | Elisabetta Foradori

L’alchimista delle Dolomiti

Sentire, percepire, fluire. In questi tre, apparentemente semplici, termini è racchiusa tutta l’essenza di Elisabetta Foradori, la geniale e raffinata condottiera dell’azienda vitivinicola trentina che guida con lungimiranza dagli anni ‘90.

Ascoltarla è un vero piacere. Comprendi immediatamente il cuore, la passione e la visione, totalmente fuori dal comune, con cui ha saputo gestire e soprattutto innovare la cantina di famiglia fin da giovanissima. Comprendi da cosa nasce la vera differenza tra chi ‘fabbrica del vino’ e chi, viceversa, crea quasi alchemicamente un ‘nettare divino’ che è vero testimone del territorio, della cultivar e della sapiente maestria contadina.

Pioniera, nel settore, per l’introduzione della biodinamica in vigna. Nella fattoria di Elisabetta Foradori, infatti, l’interazione dell’animale con la pianta è fondamentale: si usa il letame per fare il compost, il concetto è riciclare tutto quello che si produce per la fertilità del suolo.


“Non ho bisogno di concime – sottolinea Elisabetta – mi arrangio con il letame e altre componenti di scarto dell’azienda. Per la vigna è molto importante perché la rende connessa con le informazioni che vengono dalla terra, la pianta è un essere vivente come un uomo. Come l’equilibrio rende l’uomo più forte, così è anche per la pianta: se aspetta il concime e l’acqua, è disconnessa, è debole, si ammala velocemente e ha bisogno di essere trattata. Se guardi un bosco invece vedi come è resistente, nessuno lo concima, nessuno lo irriga e continua a crescere in una comunità di centinaia di specie arboree diverse; la pianta ha bisogno di relazioni, si arrangia e vive in compagnia delle altre e dei loro scarti, le radici comunicano fra di loro, nella diversità si rafforza. Tutto cambia per noi agricoltori, che abbiamo reso disastrosamente fragile la natura con gli ogm, i cloni, tutto banalizzato e monotematico”.


Fin dai primi anni di lavoro in cantina, l’obiettivo di Elisabetta Foradori è stato quello di riportare alla luce le vere pratiche enologiche tradizionali del luogo, concentrandosi sul recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni trentini, di cui nessuno si stava più interessando: il Manzoni bianco, la Nosiola e, in particolare, il Teroldego rotaliano che ha rilanciato in grande stile e portato a notorietà internazionale.

Ma il genio di Elisabetta arriva anche nel processo di vinificazione. Proprio in cantina infatti introduce, recuperando antichissime tradizioni, la macerazione in anfora (tinajas). Diversamente dalle cisterne in metallo, l’anfora, grazie alla sua forma e alla porosità dell’argilla, permette che tutte le fasi di trasformazione si svolgano con purezza, equilibrio e armonia, senza alcuna fretta o forzatura meccanica.


Il primo step del procedimento prevede la fermentazione in anfora aperta del mosto per circa 20 giorni. Dopo di che si chiude l’anfora dove le uve resteranno in contatto con il mosto fino ad aprile/giugno. Qui la buccia fungerà la protezione per il vino stesso ed innescherà altre reazioni delle quali il prodotto finale se ne avvantaggerà. Al termine del periodo di macerazione si passa alla svinatura, alla rimozione delle bucce, al lavaggio dei contenitori per accogliere nuovamente il Teroldego (o gli altri vini) per un ulteriore affinamento.


Elisabetta dice che questi vini andrebbero bevuti direttamente dall’anfora per poter godere appieno dei risultati conseguiti, ma ad un certo punto vanno imbottigliati e messi sul commercio previo breve affinamento in cantina.

E se, a questo punto, vi è sorta la voglia di assaporare uno dei vini di Elisabetta, ecco il nostro suggerimento.

Vigneti delle Dolomiti Rosso IGT “Granato” Elisabetta Foradori

Granato è un Teroldego di particolare concentrazione e fittezza. I fondamenti su cui si basa la nascita di questo vino sono l’accurata selezione dei migliori fenotipi della varietà, l’elevata biodiversità all’interno del vigneto, la drastica riduzione delle rese, assieme alla convinzione che la varietà Teroldego abbia un immenso potenziale qualitativo.

Nel calice si annuncia con un bel colore rosso rubino. Il naso è interamente giocato su note che richiamano la frutta, da cui emergono piacevoli sensazioni di ciliegia e mora, impreziosite da tocchi più legnosi, derivanti dall’affinamento. Al palato è intenso, ampio e fasciante, caratterizzato da una vena minerale e da un sorso dotato di un retrogusto fruttato.

RICONOSCIMENTI ANNATA CORRENTE: JAMES SUCKLING 95/100

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