Damijan Podversic nella sua cantina

PROFILI | Damijan Podversic

“Oggi mi sento una persona fortunata, perché sto facendo quello che ho sognato sin da bambino”.

È questo il mantra che ama ripetere Damijan Podversic per evidenziare come l’odierna azienda vitivinicola che gestisce è il frutto di quel grande sogno nato quando, da ragazzo, lavorava il mezzo ettaro di Chardonnay del nonno ascoltando i consigli del grande Josko Gravner (famoso in tutto il mondo per il suo contributo alla nascita e crescita del movimento dei vini naturali).

Panoramica dei vigneti della cantina Damijan Podversic

Nell’incantevole cornice dei boscosi pendii a sud del Monte Calvario, Damijan coltiva in regime biodinamico i tradizionali vitigni del territorio: Ribolla, Malvasia Istriana, Friulano, Pinot Grigio, Merlot e Cabernet Sauvignon. Vini di inusitata potenza e colmi di significato ancestrale, con tutti i bianchi che vedono una lunga macerazione sulle bucce come vuole la tradizione, ed essendo – come sottolinea Damijan – la parte del frutto in cui risiede la vera anima dell’uva.

È assolutamente rigoroso in tutte le fasi di produzione, dalla vigna alla cantina. In campo segue le tecniche biodinamiche per decidere il perfetto tempo di vendemmia, passeggiando tra i vigneti e assaggiando personalmente la buccia e il seme. Se l’uva non è pronta non si vendemmia pur sapendo che perderà parte della produzione.
Stessa modalità anche in cantina dove tutte le fasi del lavoro vengono scandite da fasi lunari, fermentazioni spontanee, lieviti indigeni e macerazioni rigorosamente sulle bucce, anche per i vini bianchi.

Dopo la raccolta le uve vengono portate in cantina dove avviene la vinificazione in stile rosso, cioè sulle bucce. Dopo 60-90 giorni di macerazione nei tini di rovere si passa a delle soffici pressature per poi proseguire con una breve sosta in acciaio, un affinamento in botti da 20 e 30 hl per 23 mesi e un affinamento conclusivo in bottiglia per 6 mesi. Tutti i vini hanno un’ottima struttura e risultano particolarmente complessi senza però rinunciare alla semplicità e ad una deliziosa bevibilità. La produzione totale risulta comunque molto limitata, contando circa 30mila bottiglie totali.


Tra le varie etichette, oggi, il nostro focus speciale è sulla MALVASIA ISTRIANA IGT 2018. Poetica, struggente e trascendentale, un vino quasi ancestrale che delinea orizzonti verso nuovi mondi. Un gioiello inestimabile del Collio Friulano, particolare e intrigante che combina eleganza, ricchezza ed energia in un sorso molto bevibile e appagante.

MALVASIA ISTRIANA IGT 2018

ALLA VISTA
Il calice risplende tra l’oro rosa e l’ambra antica.


AL NASO
Aromatico, dai gradevoli sentori di frutta matura e agrumi canditi con una elegante nota minerale e nuance di te al gelsomino, miele di lavanda, foglie d’acero in infusione nel Calvados.


AL PALATO
Il sorso è morbido, caldo e avvolgente ma nel contempo sostenuto da una bella acidità che bilancia e rinvigorisce la beva. Splendidi sentori di albicocca candita con spezie rosa, chutney di mango e pan di zenzero con confettura di pere.

PREMI & RICONOSCIMENTI

  • Antonio Galloni 93
  • 4 Vitae AIS
  • 4 viti Bibenda
  • 2 calici Gambero Rosso

VIDEO INTERVISTA

La filosofia di vigna e di vita di Damijan Podversic

Intervista a Damijan | 01

Intervista a Damijan | 02

Intervista a Damijan | 03

Tenuta Il Colle di Carli

ECCELLENZE | Il Colle di Carli

“Come se…” – Merlot 2008 – Il Colle – 15°

Era il 1972, mentre Caterina emetteva i primi vagiti Alberto, il padre, famoso notaio in quel di Siena, decise di acquistare la casa padronale della fattoria che serviva il convento dell’Osservanza a Montalcino con annessi 11 ettari di terreno in località “Il Colle al Marchese”. Era praticamente scritto che la futura tenuta Il Colle di Carli dovesse egregiamente essere condotta da Caterina con il prezioso supporto della sorella Luisa per l’area marketing.

Infatti, all’età di 29 anni, Caterina non ci pensa un solo secondo a lasciare la prestigiosa posizione professionale per prendere le redini dell’azienda all’improvvisa mancanza del padre. Da quel momento, raccogliendo i già ottimi risultati ottenuti nel corso degli anni, dà il via a un ulteriore processo di crescita qualitativa grazie anche al fondamentale aiuto del mitico enologo Giulio “Bicchierino” Gambelli, inimitabile esperto di Brunello & C.

Il Colle di Carli. La sede principale della tenuta

Per produrre il Brunello, che vanta una spettacolare struttura e finezza riconosciuta in tutto il mondo, Caterina utilizza i metodi di vinificazione ultratradizionali con fermentazione solo sui lieviti selvaggi e senza controllo della temperatura, il tutto seguito da una lunga macerazione sulle bucce di 30-40 giorni per finire con il lungo invecchiamento, fino a quattro anni che avviene esclusivamente in botti di Slavonia.

Con il medesimo spirito sperimentatore, Caterina inizia a ‘osservare’ la distesa di viti a Merlot che il padre aveva piantato sul finire degli anni ‘90. Un vitigno che non ama particolarmente per la sua particolarità di dar vita a vini tendenzialmente eccessivamente piacioni e paffuti. Inizia quindi una lunga sperimentazione che la conduce a dar vita a uno straordinario Merlot in purezza a cui ha fatto perdere quell’eccessiva baldanza e prepotente mascolinità che normalmente rischia di stancare già al primo bicchiere.

Nasce così l’ormai famoso e super raffinato Merlot Il Colle di Carli “Come se…”. Un 100% Merlot con raccolta manuale e fermentazione spontanea su lieviti indigeni in tini di acciaio inox. Nessuna filtratura, un invecchiamento in rovere da 20 hl per circa 10 anni e una capacità d’invecchiamento di oltre 10/15 anni. E tutto con una produzione limitata a sole 2.613 bottiglie che lo rende una vera chicca particolarmente ricercata.

NOTE DI DEGUSTAZIONE

“Come se…”
Merlot 2008
Il Colle di Carli
15°

  • ALLA VISTA | Colore rosso rubino brillante con unghia leggermente granata.
  • ALL’OLFATTO| Predominano note terziarie, cioccolata, caffè tostato e foglie secche del sottobosco, poco dopo appaiono mandorle tostate e albicocca secca, per finire con semi di cardamomo.
  • AL PALATO | Elegantemente rotondo, equilibrato con tannini definiti e ben bilanciati. Lascia la bocca asciutta e un finale particolarmente ampio, dovuto al lungo invecchiamento in rovere.

Vino veramente longevo: da consumare entro 15 anni se bevuto pasteggiando; aspettare anche decenni se bevuto come stupendo vino da meditazione.

PROFILI - Alessandra Divella

PROFILI | Alessandra Divella

SCACCO MATTO IN TERRA DI FRANCIA (CORTA)

È davvero splendido quando hai la possibilità di raccontare storie di successo dove i protagonisti sono giovani e/o donne che hanno saputo tradurre in realtà un proprio sogno grazie a tenacia, duro lavoro, grande determinazione e quel pizzico di follia assolutamente necessario. È la risposta chiara e lampante che i risultati, qualsiasi essi siano, si ottengono a prescindere dall’ambiente, magari, ostile o da quello che negli ultimi anni viene definito come gender gap.

Oggi l’esempio migliore ci arriva da quel visionario o, più correttamente nel caso in questione, visionaria che con grande forza di volontà, incessante lavoro e sperimentazione, enorme passione e soprattutto un’impeccabile concentrazione crea, tra le viti, piccoli-grandi capolavori di straordinario successo.

Stiamo parlando di Alessandra Divella, giovanissima vigneron della provincia bresciana che da qualche anno ha scelto di seguire il suo sogno imprenditoriale diventando, in brevissimo tempo, la migliore risposta italiana allo Champagne francese.

Alessandra Divella in cantina
Alessandra Divella nella sua cantina

Nei suoi due ettari di vigneti Chardonnay e Pinot Noir posti a Gussago, ai confini orientali della zona di Franciacorta, dà vita a spumanti Metodo Classico autentici e di grande carattere, frutto di fermentazioni spontanee con lieviti indigeni e di lunghi affinamenti in cemento e tonneau.

Tutti i vini Divella sono ottenuti da uve biologiche coltivate secondo metodi sostenibili su suoli prevalentemente calcarei, ricchi di fossili e argille, con notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte. Sono quindi raccolte a mano e depositate in piccole cassette per favorirne il trasporto e l’alta qualità mantenendole integre.

Successivamente sono sottoposte a torchiatura manuale fatta direttamente dalla stessa Alessandra, a sottolinearne la maestria artigianale e la meticolosa cura posta in ogni singolo passaggio. Dopodiché il mosto fermenta spontaneamente con lieviti indigeni e matura in piccole vasche di cemento e tonneau usate per non interferire con il profilo gusto-olfattivo dei varietali. Infine la rifermentazione in bottiglia dura dai 2 ai 5 anni a seconda dell’annata e dell’uva e non sono previste alterazioni come aggiunte di zuccheri o di massicce dosi di solforosa.

Le bollicine Divella sono una chiara espressione del territorio di provenienza – l’area franciacortina – ma dal quale Alessandra, con precisa determinazione e un pizzico di sana ribellione, ha deciso di sperimentare liberamente senza assoggettarsi a disciplinare e marchio Franciacorta. Sfornando così 5 straordinari spumanti Metodo Classico che in terra d’oltralpe riuscirebbero a dare scacco matto a gran parte degli champagne.

Le etichette attualmente in commercio hanno la caratteristica di essere tutte Pas Dosè, cioè senza l’aggiunta di liqueur d’expedition, e si presentano nella loro più assoluta franchezza, senza bisogno di alcun trucco e ritocco prima di uscire dalla cantina che le ha pazientemente cullate per lungo tempo.

Tutti gli spumanti Divella sono un vero trionfo di bollicine dal perlage fine e avvolgente, sono schietti e sinceri senza essere mai ruffiani. In bocca hanno un ingresso tagliente ma lasciano un succoso e lunghissimo ricordo sul palato. In sostanza, spumanti estremamente eleganti, di grande personalità dalle mille sfaccettature e soprattutto infinitamente godibili.

Delle vere opere d’arte vitivinicole, prodotte in tiratura limitata, seguite e coccolate una ad una con spirito materno e per questo da accaparrarsi senza esitazione per delle bevute davvero speciali.

SCOPRI I VINI DIVELLA

Nicola Gatta, viticoltore spumante Metodo Classico

PROFILI | Nicola Gatta

La (r)evolution del Metodo Classico

Si dice che la storica competizione tra champagne e metodo classico sarà sempre vinta dalla famosa bollicina francese. Affermando questo, però, ci si dimentica che in qualsiasi vino rifermentato la vera differenza la fa sempre l’uomo, il vigneron.

E quando il produttore lavora solo di eccellenza, di passione, di naturalezza, di edizioni limitate nella terra di riferimento per le bollicine italiane – la Franciacorta – come da sempre fa Nicola Gatta viene spontaneo mettere in discussione lo scontato predominio dei cugini d’oltralpe.

Poco più di 5 ettari tra le colline calcaree di Gussago e Callatica piantate esclusivamente a Chardonnay e Pinot Nero, una produzione di sole 25mila bottiglie all’anno, la vigna che cresce e si sviluppa secondo i principi della biodinamica, una cantina che lavora solo con fermentazioni spontanee grazie ai lieviti indigeni naturalmente presenti sulle bucce e senza aggiunta di solforosa. Nicola Gatta è l’esempio più lampante di quei viticoltori che viaggiando totalmente fuori dalle righe – di disciplinari e regole fisse – riescono a dar vita a delle piccole-grandi opere d’arte dell’enologia italiana.

Quattro le ‘bolle’ selezionate da Stefano Manzoni per i winelovers dell’Enoteca San Tomaso: Ombra, Blanc de Blancs, Blanc de Noirs e 6.16.


OMBRA

Chardonnay all’80% e un Pinot Nero al 20. Trenta lune di affinamento sui lieviti (anche nella conta del periodo di affinamento Gatta si distingue con eleganza). Nessuna aggiunta di anidride solforosa. Un cuvée brut che si esprime con una bollicina fine ed elegante. Al naso dominano splendidi sentori agrumati che si ritrovano integri anche in bocca. Acidità sontuosa per un sorso persistente e sorprendente.

BLANC DE BLANCS

Chardonnay puro al 100%. 50 lune di affinamento sui lieviti. Zero solforosa. La degustazione è una vera un’esperienza. Perlage finissimo e ammaliante nel suo delicato giallo dorato. Al naso molto fine e delicato con note di salvia e menta, ma soprattutto frutta gialla matura. Al sorso è estremamente delicato, con una buona mineralità, gran morbidezza e una splendida freschezza. Grande equilibrio, finezza e persistenza.

BLANC DE NOIRS

100% Pinot Nero, principalmente del 2012 (con piccole aggiunte del 2011, 2010 e 2009). 70 lune di affinamento sui lieviti indigeni. Dosaggio zero, ovvero senza zucchero aggiunto post dégorgement. Colore giallo paglierino intenso con perlage sottilissimo e spuma cremosa. Al naso spicca una marcata nota minerale che non smetterà di accompagnare tutto il sorso, estendendosi fino alla bocca, dove, un netto ricordo di buccia scura, il vino scivola, pizzica, si allarga e restringe in sussulti di croccante bontà. Veramente un gran spumante.

6.16

Pinot Nero al 100% prodotto col Metodo Solera e vendemmie dal 2006 al 2016. Solo 965 bottiglie in commercio. Colore giallo paglierino molto acceso. In bocca, esplodono sentori agrumati come mandarino, pompelmo e mapo. Spumante di grande spessore in cui si intersecano armoniosamente morbidezza e freschezza.

Beaujolais Nouveau Pierre Ferraud

Le Beaujolais Nouveau est arrivé

Mesdames et Messieurs… il Beaujolais Nouveau è arrivato. 

Con l’arrivo della mezzanotte di oggi, terzo giovedì del mese di novembre, l’Enoteca San Tomaso festeggia il vino novello francese, famoso in tutto il mondo, con una vera etichetta di eccellenza: il beaujolais della Maison Pierre Ferraud et Fils.

L’arrivo sul mercato del Beaujolais Nouveau rappresenta ogni anno in Francia un’occasione di festa e convivialità: il terzo giovedì del mese di novembre – data in cui finisce il processo di vinificazione e viene autorizzata la vendita – in tutta la Francia ci si ritrova nelle case e per le strade a festeggiare, dall’alba a tarda notte, al grido di “Le Beaujolais Nouveau est arrivé!” (“Il Beaujolais novello è arrivato!”).

La festa del Beaujolais Nouveau è una tradizione che risale al 1951, anno in cui un decreto del governo francese vietò la vendita di vini AOC (Appellation d’origine contrôlée) fino al 15 dicembre dell’anno del raccolto. I produttori della regione del Beaujolais si ribellarono, chiedendo la possibilità di vendere i loro vini “en primeur”, ovvero prima della data stabilita. Il 13 novembre 1951 una nota ufficiale ne ripristinò la commercializzazione, a condizione di aggiungere la menzione “nuovo”. Nasce così il “Beaujolais Nouveau”.

È un vino novello rosso, basato sul vitigno Gamay, prodotto nel Beaujolais (area AOC, cioè analoga all’italiana DOC), nei pressi di Lione. Il Beaujoulais più conosciuto, e di gran lunga il più bevuto, è il Nouveau (o primeur).

Il processo di produzione (macerazione carbonica) è stato scoperto quasi casualmente negli anni ’30, in seguito ad esperimenti, fatti alla ricerca di un metodo di conservazione dell’uva in contenitori saturi di anidride carbonica, che hanno portato all’inaspettato risultato di ottenere un mosto particolare.

Il Beaujolais Nouveau di Pierre Ferraud presenta un colore violaceo vivace, un profumo splendidamente fruttato, simile alle irresistibili caramelle gelèe . In bocca risulta estremamente piacevole, morbido e di grandissima beva.

Il tempo è perfetto! Delle ottime castagne e un bel bicchiere di Beaujolais Nouveau di Pierre Ferraud per una splendida serata conviviale tra amici.

Elisabetta Foradori

PROFILI | Elisabetta Foradori

L’alchimista delle Dolomiti

Sentire, percepire, fluire. In questi tre, apparentemente semplici, termini è racchiusa tutta l’essenza di Elisabetta Foradori, la geniale e raffinata condottiera dell’azienda vitivinicola trentina che guida con lungimiranza dagli anni ‘90.

Ascoltarla è un vero piacere. Comprendi immediatamente il cuore, la passione e la visione, totalmente fuori dal comune, con cui ha saputo gestire e soprattutto innovare la cantina di famiglia fin da giovanissima. Comprendi da cosa nasce la vera differenza tra chi ‘fabbrica del vino’ e chi, viceversa, crea quasi alchemicamente un ‘nettare divino’ che è vero testimone del territorio, della cultivar e della sapiente maestria contadina.

Pioniera, nel settore, per l’introduzione della biodinamica in vigna. Nella fattoria di Elisabetta Foradori, infatti, l’interazione dell’animale con la pianta è fondamentale: si usa il letame per fare il compost, il concetto è riciclare tutto quello che si produce per la fertilità del suolo.


“Non ho bisogno di concime – sottolinea Elisabetta – mi arrangio con il letame e altre componenti di scarto dell’azienda. Per la vigna è molto importante perché la rende connessa con le informazioni che vengono dalla terra, la pianta è un essere vivente come un uomo. Come l’equilibrio rende l’uomo più forte, così è anche per la pianta: se aspetta il concime e l’acqua, è disconnessa, è debole, si ammala velocemente e ha bisogno di essere trattata. Se guardi un bosco invece vedi come è resistente, nessuno lo concima, nessuno lo irriga e continua a crescere in una comunità di centinaia di specie arboree diverse; la pianta ha bisogno di relazioni, si arrangia e vive in compagnia delle altre e dei loro scarti, le radici comunicano fra di loro, nella diversità si rafforza. Tutto cambia per noi agricoltori, che abbiamo reso disastrosamente fragile la natura con gli ogm, i cloni, tutto banalizzato e monotematico”.


Fin dai primi anni di lavoro in cantina, l’obiettivo di Elisabetta Foradori è stato quello di riportare alla luce le vere pratiche enologiche tradizionali del luogo, concentrandosi sul recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni trentini, di cui nessuno si stava più interessando: il Manzoni bianco, la Nosiola e, in particolare, il Teroldego rotaliano che ha rilanciato in grande stile e portato a notorietà internazionale.

Ma il genio di Elisabetta arriva anche nel processo di vinificazione. Proprio in cantina infatti introduce, recuperando antichissime tradizioni, la macerazione in anfora (tinajas). Diversamente dalle cisterne in metallo, l’anfora, grazie alla sua forma e alla porosità dell’argilla, permette che tutte le fasi di trasformazione si svolgano con purezza, equilibrio e armonia, senza alcuna fretta o forzatura meccanica.


Il primo step del procedimento prevede la fermentazione in anfora aperta del mosto per circa 20 giorni. Dopo di che si chiude l’anfora dove le uve resteranno in contatto con il mosto fino ad aprile/giugno. Qui la buccia fungerà la protezione per il vino stesso ed innescherà altre reazioni delle quali il prodotto finale se ne avvantaggerà. Al termine del periodo di macerazione si passa alla svinatura, alla rimozione delle bucce, al lavaggio dei contenitori per accogliere nuovamente il Teroldego (o gli altri vini) per un ulteriore affinamento.


Elisabetta dice che questi vini andrebbero bevuti direttamente dall’anfora per poter godere appieno dei risultati conseguiti, ma ad un certo punto vanno imbottigliati e messi sul commercio previo breve affinamento in cantina.

E se, a questo punto, vi è sorta la voglia di assaporare uno dei vini di Elisabetta, ecco il nostro suggerimento.

Vigneti delle Dolomiti Rosso IGT “Granato” Elisabetta Foradori

Granato è un Teroldego di particolare concentrazione e fittezza. I fondamenti su cui si basa la nascita di questo vino sono l’accurata selezione dei migliori fenotipi della varietà, l’elevata biodiversità all’interno del vigneto, la drastica riduzione delle rese, assieme alla convinzione che la varietà Teroldego abbia un immenso potenziale qualitativo.

Nel calice si annuncia con un bel colore rosso rubino. Il naso è interamente giocato su note che richiamano la frutta, da cui emergono piacevoli sensazioni di ciliegia e mora, impreziosite da tocchi più legnosi, derivanti dall’affinamento. Al palato è intenso, ampio e fasciante, caratterizzato da una vena minerale e da un sorso dotato di un retrogusto fruttato.

RICONOSCIMENTI ANNATA CORRENTE: JAMES SUCKLING 95/100
Copertina articolo Supertuscan

Supertuscan

COSA SONO, COME NASCONO E PERCHÉ SI CHIAMANO COSÌ I GRANDI VINI TOSCANI


Modaioli, apprezzati dalla critica e dai grandi collezionisti di tutto il mondo, i Supertuscan si sono imposti ormai da anni come esempi di raffinatezza italiana al pari di Gucci, Ferragamo e Prada.

Ma cosa sono realmente i Supetuscan. Come nascono e soprattutto perché questi vini sono diventati così famosi?

Si può dire che i “Superman” del vino toscano nascono, come spesso accade, per volontà dell’ennesimo genio ribelle che, stanco di regole, disciplinari e omologazioni, decide di rompere le barricate della DOC realizzando un vino che rispecchi il classico taglio bordolese con l’utilizzo del Merlot, del Cabernet Sauvignon e del Cabernet Franc.


Negli anni ‘40 il marchese Mario Incisa della Rocchetta ebbe l’idea di creare un “#Bordeaux di #Toscana”, con l’aiuto dell’enologo Giacomo #Tachis, in cui fare a meno del #Sangiovese, vitigno regionale per antonomasia, e sfruttare invece le caratteristiche del territorio con uve non autoctone.
Nacque così il #Sassicaia che all’inizio, diversamente dalle aspettative, fu massacrato da critici e pubblico. Nei primi vent’anni di produzione la storia non cambiò molto. La vera svolta arrivò nel 1967 con la partecipazione ad una gara di degustazione cieca a Parigi in cui stravinse come miglior vino rosso del mondo. Da quel momento in poi tutti impazzirono per il Sassicaia e si scatenò la caccia alla bottiglia.


Da quel momento la Toscana, in particolare la zona di Bolgheri, divenne quindi un vero e proprio laboratorio ‘alchemico’, in molti rimanevano dubbiosi, ma si iniziò a fare prove e mix di vari blend.


Dopo il Sassicaia, fu la volta del #Tignanello (1970) ideato dal Marchese Antinori sempre in collaborazione con l’enologo Tachis. Formalmente era un semplice ‘vino da tavola’, con Sangiovese all’85% e il restante di Cabernet Sauvignon, ma questo vino divenne rivoluzionario per il concetto che c’era alla base, ovvero quello di creare vini da invecchiamento, nobili quanto i bordolesi ma con un’anima quasi interamente Sangiovese.
Per completare il quadro dei ‘grandi’, nel 1985 nasce l’#Ornellaia e subito l’anno dopo il #Masseto.


L’origine del termine viene attribuita al critico enologo americano Robert #Parker, uno dei primi a riconoscere la grande qualità di questi pregiati rossi italiani. Oggi sono diversi i vini che rientrano in questa categoria come – solo per citarne alcuni – #Fontalloro, #Flaccianello, #Grattamacco, il #Bruciato, ecc. Tutti vini dal gusto corposo e con una longevità e una struttura particolarmente importanti.


Alla fine di tutto questo straordinario percorso, quello che rimane, oltre ai grandi vini citati, è la caratterizzazione di un intero territorio, #Bolgheri, diventato in tutto il mondo sinonimo di vini di grande qualità, eleganza e maestria.

3 barolo da mito | Tributo al Piemonte

Omaggio al Piemonte

3 BAROLO DA MITO

> Barolo Bussia ‘Cicala’ Aldo Conterno

Una grande espressione del Barolo. Nasce nel leggendario vigneto Cicala del cru Bussia e viene prodotto nel completo rispetto delle più antiche pratiche enologiche delle Langhe: lunga macerazione sulle bucce per ottenere una massima estrazione e lungo affinamento solo in botte grande.

Lo spettro olfattivo è animato da profumi intensi di frutti di bosco maturi o in confettura, violette appassite, pot-pourri, liquirizia e tante spezie. Questa magnifica complessità si riscontra anche al palato, quando il vino rivela chiaramente la sua grande consistenza, potenza e compattezza. Un grande Barolo da lasciare invecchiare in cantina per anni.


> Barolo ‘Otin Fiorin – Piè Rupestris’ Cappellano

Un inno alle Langhe vitivinicole, liquido austero e tridimensionale. È un Barolo che proviene da uno dei più rinomati cru di Serralunga d’Alba, ovvero il Gabbati. Dopo la raccolta manuale dei grappoli, con accurata cernita degli stessi, il mosto fermenta spontaneamente solo tramite lieviti indigeni. L’affinamento avviene per 18 mesi in botte grande, senza che questo subisca filtrazioni.

Naso stratificato e austero, la cui compattezza inizialmente potrebbe intimidire. Un pò di pazienza, ed eccolo elargire pennellate di liquirizia, rosa canina e viola, sempre con cenni discreti. L’evoluzione ne amplia il profilo aromatico con richiami al sottobosco, al goudron, e al cuoio, oltre che intensificarlo. Al sorso il liquido si rivela un vero e proprio monumento, ha la stoffa dei campioni con una materia fittissima in cui freschezza, sapidità e tannino sono incastonati assieme. Lunghissima persistenza, non solo in bocca ma anche nella memoria. Maratoneta fuoriclasse.

> Barolo “Cesare” Giacomo Borgogno

“Cesare” di Borgogno è la bottiglia speciale dedicata al protagonista del successo della celebre cantina di Barolo che tra le altre ha fatto la storia dei grandi vini delle Langhe piemontesi. Un assemblaggio delle migliori annate, unite per dare vita a un vino senza tempo, eterno, dal prestigio inestimabile. Lunghe fermentazioni, rimontaggi e follature manuali e lunghi affinamenti in grandi botti di rovere di Slavonia (in media 48 mesi), sempre connotate dallo stile unico ed elegante di una delle firme più importanti di questa rinomata regione vitivinicola.

Rosso granato, con sfumature color mattone. Al naso sprigiona un complesso aromatico elegantissimo dominato da aromi evoluti: note floreali di rosa appassita e gelsomino si fondono armonicamente con sentori di tabacco, cuoio e frutta sotto spirito. In bocca la struttura è viva, tesa, con un corpo leggero e fine, rinforzato da un tannino ben presente, morbido e vellutato. Sul finale entrano in scena le erbe di campo, con intensi profumi di melissa e timo selvatico lasciando nel palato un lunghissimo retrogusto balsamico e lievemente minerale. Una bottiglia unica, dall’ incommensurabile raffinatezza e dalla storia emozionante. Una vera e propria etichetta da collezione.

Lezer, Foradori

Lezer. Nomen omen!

Vigneti delle Dolomiti IGT “Lezér” – Elisabetta Foradori – 11,5°

Nomen omen! Lezer, in dialetto trentino significa leggero. E mai nome fu più azzeccato. L’ultimo nato nella cantina Foradori è infatti leggero nel packaging, leggero nella gradazione e leggero, o meglio, straordinariamente facile, nella beva.

Il Lezèr di Foradori è un succoso e divertente rosato a base di Teroldego. Un’idea che nasce dall’indomita voglia di sperimentazione in casa Foradori. No ai lieviti selezionati, no alle sostanze chimiche o di sintesi, sì al biologico, o meglio, alla biodinamica. Lezer mira a diventare la bottiglia quotidiana per eccellenza, da avere sempre a portata di mano per qualsiasi occasione improvvisa. Attenzione alla “pericolosa” bevibilità!

Un Teroldego di sostanza che gioca la carta del rosato. Vinoso, ricorda il melograno appena spaccato, l’anguria, un cenno di spezie e di caffè.

Bocca materica e deliziosamente fresca, che si allunga su cenni salmastri e una tipica e incisiva nota finale di fragoline di bosco. Chiude lungo sui frutti rossi e le spezie in infusione. Consiglio finale: fare scorta adeguata!

RICONOSCIMENTI
Bibenda: 4 grappoli

Stefano Amerighi, vigneron

PROFILI | Stefano Amerighi

Il poeta della vigna.

Se il vino è la tua passione – ma anche se sei alle prime armi e cerchi semplicemente di far attenzione al ‘liquido’ che fai scivolare in gola – comprendi subito quando è fatto con amore. Ti è subito chiaro, fin dal primo sorso, se si tratta di un “mix industriale”, per quanto perfetto, oppure di un prodotto vivo, naturale, armonioso e in perfetta simbiosi con Madre Terra.


Stefano Amerighi, vignaiolo di Cortona – come lui stesso si definisce – è diventato da tempo l’emblema italiano di questa seconda categoria. Uno di quei pochi vigneron nostrani che il vino lo sanno fare per davvero e che, nel nettare di Bacco, riescono a riversarci tutta la grande passione, la cura e l’amore che serve per creare dei piccoli, grandi capolavori. Pezzi d’arte che si possono gustare per davvero, dapprima attraverso gli occhi, poi tramite l’odorato e infine, come massima espressione di goduria, con il gusto.

Stefano Amerighi


Syrah: questo è il figlio prediletto su cui Stefano, da anni, riversa per scelta oculata tutta la sua attenzione. Pur operando nell’area vocata a tirar sù mitici Sangiovese o Montepulciano – solo per citarne i principali – Amerighi ha puntato tutto su un vitigno internazionale su cui nessuno, prima di lui, aveva mai creduto fermamente. Tanto che per diversi anni – come lui stesso dichiara – gran parte dei suoi ‘colleghi’ lo prendevano quasi per pazzo.
Ma come spesso accade il tempo, che è galantuomo, gli ha dato ragione. E a confermarlo è pure arrivato il ‘sigillo’ del Gambero Rosso, attribuendogli il titolo di viticoltore dell’anno 2018.


Nessun componente chimico, solo macerati e preparati biodinamici. Lavoro in vigna e in cantina in totale armonia con le fasi lunari e della terra. Una parziale e delicata pigiatura fatta, all’antica maniera, con i piedi e nessun correttivo aggiunto in fase di vinificazione. Il risultato è un Syrah in purezza da reale capogiro.
Ne volete la prova?

Cortona Syrah DOC 2015 – Stefano Amerighi

Cortona Syrah DOC 2015 – Stefano Amerighi


Cupo e carico il rosso rubino che si mostra al calice. Profondo e intenso il bouquet olfattivo, ricco di frutta scura matura e confettura, come ciliegie nere, amarene e more, seguite da splendidi sentori di humus, pepe nero in grani, tabacco e liquirizia. Potente e integrato in un’ottima trama tannica e di lunga persistenza in bocca.


Una sublime delizia che vale almeno 3 volte i suoi 28 euro. Quale occasione migliore, di assaporarlo con gli amici più cari, se non durante le prossime feste?